"Il Ciclo della Vita" di Gianfranco Bianchi dal 28 novembre 2015 al 3 gennaio 2016 alla Casa del Mantegna, Mantova. Curata da Giammarco Puntelli, la mostra sarà inaugurata sabato 28 novembre alle ore 18.45.
Il progetto, che prevede l'allestimento di circa sessanta opere, è parte della rassegna "Avanguardia Rinascimentale", ideata dal vicepresidente della Provincia di Mantova e Assessore alla Cultura Francesca Zaltieri.
Scrive Giammarco Puntelli: «Comprendere il senso della vita appare impossibile in particolare anche il solo pensarci in un’epoca segnata da decadenza e smarrimento. Comunicare il ciclo della vita è un privilegio che solo un artista avrebbe potuto permettersi. Ecco che Gianfranco Bianchi ci stupisce con una creatività fuori dalla norma e una capacità di realizzare, contemporaneamente, più cicli nella migliore tradizione dell’esuberanza italiana. [...] Una mostra personale in più sale per raccontare anni di ricerca e coerente linguaggio artistico fra filosofia, comunicazione, lettura del tempo di un Gianfranco Bianchi che si conferma un maestro del pensiero pittorico e concettuale dei nostri giorni. In sei sale il pubblico e gli appassionati d’arte potranno osservare un ipotetico ciclo della vita che li farà viaggiare attraverso i mesi che segnano le tappe dei nostri anni, le galassie di apparente infinita durata, i microcosmi segnati dai loro attimi, la stanza delle Ere con chiaro riferimento alle testimonianze lasciate da popoli lontani, fino ad arrivare a declinare il concetto del tempo stesso attraverso i colori che ne determinano il suo incessante procedere. La mostra termina con il recupero di un passato dell’artista che ci fa comprendere il suo presente giocoso all’insegna di un’arte che è la filosofia di vita semiseria per comprendere l’esistenza e apprezzarla fino in fondo. Gianfranco Bianchi ci sorprende per qualità, creatività e soprattutto, in un mondo di cloni, per somigliare solo a se stesso».
Scrive Francesca Zaltieri: «Le costruzioni paradossali e irriverenti di Gianfranco Bianchi creano, alla Casa del Mantegna, un ambiente immersivo ad alta temperatura poetica. L’antica dimora rinascimentale si trasforma così, stavolta, in una sorta di Cape Canaveral per un viaggio imprevedibile tra galassie e tempeste spa¬zio-temporali generate da immagini ed idee originalissime. La mostra è la dichiarazione d’esistenza di un artista che reclama, da sempre, la rivolta contro le espressioni di pessimo gusto così care al mondo piccolo borghese (a partire dal quadro d’appartamento con i sottoprodotti figurali o neo astratto-informali). Emerge così un’attività artistico-creativa che si offre quale fonte di piacere e di gioco: un’attività, se vogliamo, del tutto inutile e fondamentalmente estetica perché rivolta a creare arte quasi povera. Nelle stanze mantegnesche sei cicli espressivi si inoltrano su temi apparentemente diversi ma uniti da una filosofia di indagine della realtà. Si comincia col ciclo dedicato delle «Galassie» per costruire il sentimento di orizzonti senza limiti, tra macrocosmo e microcosmo, e ci si addentra intorno ad installazioni di pregevole fattura. Nella malia delle segrete ragioni delle Galassie ci appare poi un Ouranòs, un cielo pervaso dal pulsare di una divinità cupida d’amore che regala nascita e morte, estremi bellissimi e invalicabili della vita. Ma che ci fa in mostra quel cubo di Rubik che ha fatto impazzire la mia generazione? E dove ci porta quel labirinto ispirato dal film Shining di Stanley Kubrick? È evidente: l’artista si diverte mentre sciorina l’epifania della sua poetica un po’ new dada; mentre racconta la speciale dimensione temporale dei suoi pezzi e della ricerca del rapporto di empatia che si può produrre anche così con lo spettatore. E ci parla di situazionismo e di stramberie tecniche, e intanto ci conduce oltre lo scollinamento di qualsivoglia rappresentazione illusionistica di ordine prospettico spaziale di tradizione. I suoi elaborati, i suoi «concept item», oggetti gravidi di virtù e saperi, sembrano costruiti per potersi spostare nel tempo-spazio di ognuno di noi, per poter tornare indietro nel nostro passato o per cercare il nostro futuro. Ma ciò che più conta è che le opere di Gianfranco Bianchi sono fantasiosi lampi di luce, dripping esplosivi, apparizioni celibi per scapoli neo-duchampiani, per le curiosità avventurose e oniriche di tutti noi. È un lavoro meditato, raffinato e graffiante quello di Bianchi, in cui nulla è concesso al puro compiacimento formale, è un lavoro che insegue costantemente il confronto con le ricerche estetiche delle contemporaneità e che ci catapulta in un universo di immagini spiazzanti, irrequiete e baldanzose. È questo il mondo che l’artista sta portando in giro nelle maggiori gallerie pubbliche italiane e che affascinerà – ne sono certa - anche il pubblico di Mantova. Questa mostra, voluta con assoluta consapevolezza dall’Assessorato alla Cultura, rende perciò omaggio a una personalità di straordinario interesse umano ed artistico, una personalità che occupa, a buon diritto, un posto importante nel panorama artistico nazionale e non solo».
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